



Cappella “Redemptionis Donum” – Casa Albergo
GRAVEDONA
La cappella della “Casa Albergo Pelascini”, a Gravedona, è stata rinnovata completamente nel 2o15, su progetto del Centro Aletti di Roma, che ha realizzato anche il tabernacolo e i decori di ambone e altare. Il bianco candore delle sue pareti e dei pavimenti è impreziosito dalle pennellate dorate, dipinte in stile orientale da Annalisa Vigani. La cappella si inserisce a pieno titolo tra le opere artistiche del nostro territorio, rappresentando l’arte sacra contemporanea.
Le suore “Adoratici del Santissimo Sacramento di Rivolta d’Adda”, hanno voluto, nel rinnovare la loro cappella, creare una vera e propria catechesi artistica, per raccontare il mistero Eucaristico che è al centro del loro carisma. La cappella del 2015, è il risultato del rinnovamento di quella precedente edificata nel 1984 (con la casa del cappellano), e dedicata alla Madonna delle Grazie. Questa cappella aveva già sostituito la prima chiesetta della Casa, costruita ex-novo nel 1949 e dedicata a Nostra Signora del Santissimo Sacramento, perché potesse servire anche alla popolazione di Gravedona. Il quadro che era posto sull’altare si trova ancora all’ingresso della cappella attuale. Dal 1929 al 1949, la primitiva cappellina si trovava in una camera della casa ed era dedicata alla Visitazione.
VISITA e CATECHESI sulla CAPPELLA ” Redemptionis Donum “
Dopo aver varcato la soglia della cappella, lo sguardo si posa subito sull’affresco del Crocifisso che si pone tra pavimento e soffitto, tra terra e cielo. Gesù, è “il mediatore tra Dio e l’uomo” (1Tm 2,5). Dipinto con i tratti tipici dell’icona è ricurvo in avanti; la posizione del ventre così proteso è accentuata dal fatto che è posto sulla parete convessa adiacente alla nicchia del tabernacolo. La posizione non è casuale. Si vuole richiamare un ventre partoriente: la morte di Gesù è stata come un parto. Il sacrifico cruento di Gesù ha generato in noi una vita nuova: è un ciclo d’amore. Egli si è offerto al Padre, il Padre ha donato il Figlio e il Santo Spirito ha reso vivificante tale sacrificio perché fatto in Lui, nell’Amore. Le parole di S. Agostino sulla SS. Trinità sintetizzano anche la vicenda del Calvario: “Ecco sono tre: l’Amante, l’Amato e l’Amore” (La Trinità VIII cap 10). Il volto di Gesù non ha i tratti della sofferenza ed ha gli occhi ben aperti, per indicare la profonda gioia che Gesù aveva nell’offrirsi al Padre perché sapeva che ci avrebbe generati a nuova vita. Una gioia che non vuole tenere per sé, ma donata in molti modi, compreso quello sacramentale. L’Eucarestia è lo Strumento che usa per comunicarci la sua vita gioiosa, frutto di sacrificio. Infatti, sebbene Egli sia morto e risorto una volta sola, la Celebrazione Eucaristica ne è il memoriale, il perpetuarsi nel tempo. Si deve quindi riflettere che se Gesù non avesse spezzato il suo corpo e versato il suo sangue sulla croce, oggi non si potrebbe donare a noi nell’Eucarestia. La morte di Gesù è stata il compimento delle parole pronunciate la sera prima: “Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”.
CROCE ed EUCARESTIA sono un unico mistero. Dal suo costato si vede stillare del sangue che si posa su alcune macchie; sono parte della decorazione dorata intorno al tabernacolo proprio per significare l’unità del mistero. S. Giovanni Crisostomo commenta nell’Ufficio delle letture del Venerdì Santo: “E uscì dal fianco sangue ed acqua (cfr. Gv 19, 34). Carissimo, non passare troppo facilmente sopra a questo mistero. Ho ancora un altro significato mistico da spiegarti. Ho detto che quell’acqua e quel sangue sono simbolo del Battesimo e dell’Eucaristia. Ora la Chiesa è nata da questi due sacramenti, da questo bagno di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito santo per mezzo del Battesimo e dell’Eucaristia. E i simboli del Battesimo e dell’Eucaristia sono usciti dal costato. Quindi è dal suo costato che Cristo ha formato la Chiesa, come dal costato di Adamo fu formata Eva.” Da questo ventre siamo nati a vita nuova. Dal suo costato è scaturito ciò di cui era ricolmo: il Santo Spirito. E come allora un colpo di lancia colpì il costato, così la trave della nicchia del tabernacolo colpisce il costato del Crocifisso.
Le aperture delle nicchie hanno gli stipiti rosso sangue. Il sangue che ci ha redenti è sgorgato anche dalle mani e dai piedi. Proprio vicino alla mano sinistra di Gesù vediamo tante mani…in dissolvenza. No, Gesù non aveva tante mani. Quelle dipinte sono le nostre mani che nella vita di ogni giorno, nel lavoro, nelle piccole faccende quotidiane, nelle opere di misericordia,… continuano l’offerta di Gesù sulla croce. Allora possiamo completare l’affermazione: Gesù non aveva tante mani perché ciascuna delle nostre mani, quando compie un’opera buona, è la sua mano che continua ad amare il mondo. Ecco perché le mani sono dipinte in dissolvenza, come un’eco, un’eco del suo amore.
Solo in Lui possiamo essere “sempre nuovi”, come la Vergine Maria. Nella nicchia di destra, non è dipinta mentre si sente dire “Donna, ecco tuo figlio” ma come se volesse dirci “Figli, ecco il Figlio”. Alle nozze di Cana intercede perché non hanno più vino. Si rischia che la gioia finisca! Maria in questa cappella tra le anfore, è stata dipinta nel gesto dell’intercessione. Ella intercede per noi. E la cosa di cui è più preoccupata è che la gioia che Gesù ha voluto comunicarci non sia in noi. Siamo noi le anfore vuote in parte all’ambone? Senza Dio, sicuramente sì.
Possiamo essere infatti come il sepolcro vuoto che accoglie Gesù nella stazione XIV della via crucis, quella della deposizione. Per questo motivo è stata posta sopra le anfore vuote. Andiamo presso la Madonna, come l’anfora che le sta a fianco e, con la sua intercessione, saremo riempiti di vino nuovo, il sangue di Gesù, “il lavacro di rigenerazione” (Tt 3,5), che solo porta la gioia. A Cana c’è il sentore che l’Antica Alleanza sta per compiersi in Gesù che ha “fatto nuove tutte le cose”.
In fine nell’uscire dalla cappella siamo spronati a fare della nostra vita un altrettanto compimento della Grazia ricevuta dall’Eucarestia celebrata ed adorata. Si scorge infatti sulla parete il ritratto di Padre Spinelli. Riporta alcune parole del suo testamento che esprimono una vita concretamente vissuta come un seme morto per generare frutto. Da dove ha attinto una tale forza? Dall’Eucarestia celebrata ed adorata. Una forza che non era la sua ma quella di Gesù in lui.
Tale forza ha portato Padre Spinelli ad abbracciare con amore la croce e i crocifissori, proprio come alcuni tratti dipinti sembrano abbracciare la prima stazione della via crucis “Gesù è condannato”.
Usciti dalla cappella ci viene da riporre di nuovo lo sguardo all’acquasantiera. I due pezzi di pietra spaccata posti sul muro, da cui sgorga graficamente un flutto di acqua ci richiamano la spaccatura del costato di Cristo contemplata all’interno. S. Paolo parlava così ai Corinti del popolo d’Israele nel deserto: “bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo” e S. Giovanni Paolo II parlando del Cuore trafitto di Cristo dice delle parole che sono la sintesi di tutto il percorso: “come dalla roccia colpita da Mosé scaturì nel deserto una sorgente d’acqua (cf. Nm 20, 8-11), così dal costato di Cristo, ferito dalla lancia, è sgorgato un torrente d’acqua per dissetare il nuovo Popolo di Dio. Tale torrente è il dono dello Spirito (cf. Gv 7, 27-29), che alimenta in noi la vita divina. Ogni volta che ci inginocchiamo in adorazione non dimentichiamoci che la sua presenza è frutto dell’offerta di sé sulla croce. Un’offerta non fine a se stessa, ma fonte di vita, di vita nuova“.











