Gravedona

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Chiesa di S. Maria delle Grazie

La chiesa di S. Maria delle Grazie con l’annesso convento agostiniano sorse nel 1467 nel luogo di un antico oratorio dedicato a San Salvatore, per concessione di papa Paolo II, in seguito alla richiesta della cittadinanza di Gravedona, sollecitata dall’opera di alcuni frati dell’ordine di S. Agostino. Contribuirono all’edificazione, oltre al duca Gian Galeazzo Sforza, devoti e famiglie gravedonesi, tra cui alcuni esponenti della famiglia Stampa che legherà il proprio nome alle vicende artistiche della chiesa.

Dalla struttura architettonica piuttosto semplice, con pianta rettangolare, copertura ad archi trasversi e abside centrale dotata di volte a vele e affiancata da due absidi minori, l’edificio presenta una facciata a capanna al cui centro si apre il portale marmoreo sormontato da una lunetta affrescata, al quale si accede con una gradinata. Sopra il portale, una scritta ora quasi del tutto scomparsa attestava la duplice dedicazione della chiesa a santa Maria delle Grazie e a san Nicola, la data di erezione (1467), la concessione delle indulgenze di S. Maria del Popolo di Roma da parte di papa Sisto IV (1472), la data di consacrazione della chiesa e degli altari (1532) e l’indicazione di lavori di restauro avvenuti nel 1742.

I primi grandi cicli pittorici all’interno della chiesa conventuale, vera e propria Biblia pauperum, atta ad assolvere a una funzione squisitamente didascalica secondo l’intento tipico dell’ordine agostiniano che mirava alla divulgazione della parola di Dio, vennero realizzati tra il 1496 e il 1520. Non firmati, presentano in successione a partire dall’entrata, a destra nel primo comparto, la Crocifissione con storie della Croce, commissionata dalla famiglia Casati, nel secondo le Storie di sant’Antonio (1509) volute dalla famiglia Stampa; a sinistra, nel secondo comparto, la Deposizione e nel terzo, quello della cappella di patronato della famiglia Benadusio, le Storie di san Giovanni Battista.

Sulla parete presbiteriale fu affrescata la Vergine Assunta tra san Giovanni Battista e Simeone (1496), sul pilastro di destra la Vergine in trono col Bambino tra san Pietro e san Giovanni Battista (1509), voluta da Pietro, Vincenzo, Tommaso e Abbondio Curti, e su quello di sinistra Cristo crocifisso tra la Vergine e san Nicola da Tolentino (1519). Nel 1520 vennero realizzati gli affreschi nella cappella absidale di sinistra (detta di S. Agata) con la raffigurazione dei santi Agata, Agnese, Biagio, oggetto di culto nella preesistente chiesa di S. Salvatore, e dei santi Gottardo, Nicola da Tolentino e Caterina d’Alessandria.

La campagna decorativa fu interrotta in quegli anni da circostanze quasi sicuramente legate alla Riforma protestante cui diede inizio il monaco agostiniano Martin Lutero e alle guerre che turbarono l’Alto Lago per la presenza del Medeghino nella rocca di Musso.

Nel Seicento, sotto l’arco d’ingresso all’abside maggiore fu collocata una grande ancona lignea dorata con le statue della Vergine col Bimbo, Sant’Agostino, Santa Monica, San Vincenzo e San Nicola, di cui è ignoto l’autore.

L’opera decorativa a fresco della chiesa fu ripresa con un intervento assegnabile all’ambito di Giovanni Battista Pozzi per la cappella absidale di destra, dedicata a san Nicola da Tolentino, con episodi della Vita del Santo, incorniciati da pregevoli stucchi settecenteschi. Nel 1732 Giulio Quaglio da Laino firmò un’Adorazione dei Magi nel primo comparto di sinistra. Intorno alla metà del Settecento dal pittore Alessandro Valdani di Chiasso fu decorata a fresco la cappella di san Tommaso di Villanova nel quinto comparto di sinistra, sotto l’organo.

Soppresso il convento agostiniano nel 1772 nell’ambito della soppressione dei conventi voluta da Giuseppe II, la chiesa passò sotto la giurisdizione della plebana di S. Vincenzo, mentre l’edificio conventuale con il chiostro venne alienato a privati che lo occuparono fino a quando fu acquistato dall’Amministrazione Comunale di Gravedona. Il complesso dei cicli d’affreschi della chiesa e dell’unito chiostro è sorprendente per vastità e qualità. Secondo Alessandro Rovetta, “ci troviamo di fronte a uno dei luoghi più significativi della cultura figurativa lariana del primo Cinquecento, con notevoli riferimenti alle realtà pittoriche più vive dell’ormai maturo Umanesimo lombardo: Milano, la Scuola Cremonese, quella Bresciana e quella Valtellinese”. S. Maria delle Grazie fu un punto di riferimento per le altre chiese dell’Alto Lario che ne desunsero spunti iconografici, impostazioni figurali, schemi narrativi, e anche vere e proprie copie. Per il programma iconografico sicuramente unitario, direttamente legato alla cultura agostiniana, è plausibile l’intervento di più artisti di una medesima educazione figurativa, usi a collaborare nell’ambito di cantieri localizzati nella diocesi comasca o in altre limitrofe. I nomi vanno da Battista da Musso a Bartolomeo Benzi da Torno, a Bernardino e Alvise De Donati e Andrea De Gezis, nativo di Domaso. Vari soggetti degli affreschi furono desunti liberamente dalle incisioni del grande pittore e incisore tedesco Albrecht Dürer.

Particolarmente interessante dal punto di vista iconografico è, nella cappella con le Storie di san Giovanni Battista, il riquadro raffigurante il Romitaggio di san Giovannino, ispirato a un episodio nel quale si narra che san Giovanni lascia all’età di cinque anni la casa paterna per inoltrarsi da solo in un bosco dove, contemplando la natura, gli sembra di essere in paradiso. O anche, nella cappella di sant’Antonio, la Madonna del cifulet (luciferet, diavoletto), una versione della popolare Madonna del Soccorso, la cui iconografia deriva da una storia, forse originaria delle Marche, secondo la quale una donna stanca dei capricci del figlio esclamò: “Che il diavolo ti porti!”. Ma quando il diavolo arrivò lei si rivolse alla Vergine, che soccorse il bambino minacciando Lucifero con un bastone. Le decorazioni dei sottarchi presentano le immagini dei più importanti santi e beati agostiniani, tra cui, nel terzo sott’arco dall’entrata, il Beato Gabriele Sforza, al secolo Carlo, fratello di Francesco Sforza.

Nella cappella di S. Agata eccezionale è la scultura raffigurante la Vergine col Bambino realizzata da Tommaso Rodari nel 1515. Nella stessa cappella è presente un’importante tela secentesca con Sant’Agostino tra santa Monica e san Nicola da Tolentino, firmata dal pittore vicentino Alessandro Maganza, in precedenza sull’altare di S. Agostino, nel quinto comparto di destra, su cui ora è visibile l’antico affresco Sant’Agostino nutrito dal sangue di Cristo e dal latte della Vergine attribuito al pittore bresciano Aragonus Aragonius, che firmò nel 1590 la tela raffigurante San Nicola da Tolentino in controfacciata.