Livo | Peglio
Nuova Chiesa di S. Giacomo
Eretta in pieno Seicento nel centro del paese, la nuova chiesa di S. Giacomo ebbe il titolo di parrocchiale nel 1673. Si presenta a navata unica con cappelle laterali secondo un’architettura tipicamente secentesca. La prima cappella di sinistra, dopo il battistero, è dedicata a santa Rosalia e possiede una pregevole pala raffigurante L’Immacolata e santa Rosalia che intercedono presso la Trinità per la cessazione della peste, opera del monrealese Pietro Novelli. Siglata sulla roccia in primo piano in basso a destra, sulla quale è presente anche lo stemma con la croce dell’ordine di Santiago, fu commissionata da alcuni livesi residenti a Palermo nel 1629. Sullo sfondo della città di Palermo con il monte Pellegrino, Rosalia implora la Trinità, mentre un angelo in volo ne trattiene un altro sul punto di scagliare una lancia, simbolo del flagello della peste. L’iconografia rimanda all’intervento miracoloso della patrona palermitana che portò alla fine dell’epidemia di peste del 1624-1625 nel capoluogo siculo. La presenza di santa Rosalia, le cui spoglie furono ritrovate in una grotta sul monte Pellegrino nel 1624, fa pensare a un plausibile ex voto degli abitanti di Livo emigrati a Palermo e scampati al flagello. Ai confratelli della “Scola Panormi”, nella nuova parrocchiale, fu riservato un apposito sepolcro.
La seconda cappella, dedicata a san Giuseppe, ha un altare con stucchi e una pala raffigurante Il transito di san Giuseppe, che ricorda il secentesco dipinto con lo stesso soggetto eseguito a Roma dal fiammingo Luigi Gentile per la chiesa parrocchiale di Peglio. La pala fu realizzata nel 1888 dal pittore Luigi Tagliaferri di Pagnona.
La terza, all’origine dedicata al Crocifisso, presenta ora la statua del Sacro Cuore.
Di fronte, la cappella del Rosario mostra una bella statua lignea della Madonna col Bimbo entro una nicchia, mentre la cappella a fianco dell’ingresso laterale, dedicata all’Annunciata, ha una tela con l’Annunciazione esemplificata sul riconoscibile modello tizianesco. È opera tarda del trapanese Andrea Carrera, cui fu commissionata da Antonio Moraschino, uno dei tanti emigrati da Livo in Sicilia e fondatore di un legato per la celebrazione di una messa quotidiana, il cui adempimento ebbe inizio nel 1674. Ricordano l’emigrazione, sul lato sinistro della cappella, un dipinto votivo raffigurante la statua marmorea della Madonna di Trapani con l’offerente Antonio Barraia, e, sul lato destro, la sorridente Madonna di Bel vedere del messinese Lorenzo Timponello .
Il grande presbiterio conserva, nella nicchia della parete di fondo, l’antica statua lignea policroma di san Giacomo, titolare delle due chiese di Livo, e un bell’altare in marmi policromi del 1734. Le pareti laterali presentano due episodi della vita di Cristo, L’ultima cena e Gesù che benedice i fanciulli, e la volta del coro La gloria di san Giacomo, affrescati sempre dal Tagliaferri, autore anche della decorazione sulla volta della navata con immagini dei quattro evangelisti, delle tre virtù teologali e di alcuni simboli del Nuovo Testamento.
Chiesa di S. Giacomo vecchia
L’antica chiesa, posta oltre l’abitato in prossimità del cimitero e documentata per la prima volta nel 1297, divenne parrocchiale nel 1446. A questo periodo risalgono la ristrutturazione con navata ad archi traversi ogivali dipinti a fasce bianche e nere, presbiterio rettangolare e abside semicircolare del più antico edificio e l’elegante campanile. Fu consacrata nell’agosto del 1514 da monsignor Galeazzo de Baldis, vescovo titolare di Tiberiade e suffraganeo nella città e diocesi di Como, appena dopo la consacrazione della chiesa di S. Croce di Naro avvenuta il 2 agosto.
Un raffinato pronao, sulla cui volta a vele sono affrescate Storie della Genesi della seconda metà del Cinquecento, abbellisce la facciata a capanna, coronata da archetti ciechi in cotto, così come in cotto è la cornice del rosone. All’interno, nei comparti delle pareti laterali e sui pilastri della navata, oltre che sulla controfacciata, numerosi affreschi devozionali risalenti alla prima metà del Cinquecento, tranne qualche lacerto della fine del Quattrocento, raffigurano la Madonna, il Cristo, Dio Padre e i Santi della tradizione popolare. Furono commissionati da devoti di Livo, i cui nomi ancora in parte si leggono alla base di alcuni di essi.
Nonostante il gran numero di affreschi, si possono distinguere tre principali fasi decorative.
La prima, che vede l’intervento di Sebastiano da Piuro (1512), riguarda il presbiterio; la seconda, tra il secondo e il terzo decennio del Cinquecento, ha evidenti riferimenti al pittore comasco Giovanni Andrea de Magistris; la terza, collocabile tra il 1544 e il 1550, è influenzata dalla pittura di Gaudenzio Ferrari e Fermo Stella. Gli affreschi dell’abside, firmati da Sebastiano da Piuro, dimostrano, secondo la critica, una meditata riflessione sulla produzione pittorica lombarda tra Quattro e Cinquecento, soprattutto con riferimento alle esperienze della Certosa di Pavia del Bergognone e Jacopino de Mottis, con uno sguardo anche alla produzione dei leonardeschi. Nel catino sono raffigurati i quattro Evangelisti con la Vergine e san Giacomo, titolare della chiesa, intorno al Cristo in gloria e, nella fascia sottostante, i dodici Apostoli. Sull’arcone d’ingresso sono rappresentati Dio Padre benedicente e quattro Profeti entro oculi.
Nel presbiterio la grande Natività con san Rocco attribuibile ad Ambrogio Arcimboldi, sulla parete sinistra, fu commissionata nel 1550 da Bernardo Comalini, Stefano Ragni e Giacomo Cossa, mentre è di un committente di Vercana la vicina Madonna con il Bambino tra san Vincenzo e santo Stefano del 1526. Sulla parete sinistra della navata è presente l’altare dedicato a Sant’Antonio Abate mentre un’altra santa cara alla devozione locale, Santa Caterina, è raffigurata sul pilastro tra la cappellina e il secondo comparto.
Nel secondo comparto è dipinto un finto altare con due trittici: il primo raffigura la Madonna tra San Giacomo e Sant’Antonio, il secondo la Madonna tra San Giacomo e San Sebastiano, il santo popolare invocato contro la peste. Gli affreschi risentono dell’influenza di Giovanni Andrea De Magistris, mentre piuttosto grezza è la Madonna datata 1511 sul pilastro tra secondo e terzo comparto.
Nel terzo comparto è rappresentato, secondo un’iconografia ricorrente nelle stampe nordiche, San Giovanni con la coppa velenosa, con la quale, secondo la tradizione, si era attentato alla sua vita. Il San Rocco, al centro della parete sopra la porta laterale, fu commissionato da Domenico Barraia nel 1533, mentre non hanno data né committente la Santa Lucia e la Trinità dipinti entro una comune cornice e sullo sfondo di drappi damascati, raffigurazioni fortemente arcaiche. La Vergine col Bambino è della metà del Cinquecento, più tardi i Santi Cosma e Damiano. Sul successivo pilastro troviamo affreschi votivi mariani, e un San Giobbe col corpo butterato del 1523. Nella parte superiore dell’ultimo comparto vi è una teoria di Vergine e Santi, come pure sul comparto di fronte. Sul pilastro dell’arco presbiteriale un Battesimo di Cristo della fine del Quattrocento sormonta un tabernacolo scolpito in pietra. Sulla facciata esterna del pilastro è affrescato S. Giacomo, mentre sul corrispondente pilastro di destra è dipinto San Leonardo. A destra occupa il terzo camparto la cappellina di S. Rocco, che è affrescata con Storie del Santo ai lati di una nicchia contenente una statua lignea della Madonna col Bambino, la Vergine in gloria tra san Rocco e santa Caterina nel catino absidale e l’Annunciazione con Dio Padre sopra l’arco d’ingresso.
Nel secondo comparto di destra vi è la Vergine tra san Giovanni Battista e san Giacomo, datata 1517, che deriva dal prototipo della Vergine tra san Sebastiano e san Rocco eseguito nella chiesa di S. Fedele di Como nel 1504 da Giovanni Andrea De Magistris. Raffigurazioni della Vergine col Bambino e di altri Santi si trovano sui pilastri e sul primo comparto di destra, dove è presente anche una Crocifissione molto ridipinta, commissionata da Giovanni Mazzina nel 1549.
Sulla controfacciata è rappresentata la Vergine tra San Bernardo e Sant’Antonio, datata 1544 e commissionata da Antonio Adamo e due altri livesi. Il trono su cui è assisa Maria col Bimbo in braccio adorno di bracciale e collana in corallo, con evidente riferimento al sangue di Cristo, è interpretato in modo naturalistico secondo una peculiarità diffusa nel Cinquecento padano. Il disordinato ciclo di affreschi della chiesa, di cui molti recano il nome del committente, a volte uno per ogni sacro personaggio per limitare i costi, è uno dei più vasti e interessanti dell’Alto Lago.
In particolare costituisce una manifestazione di grande devozione da parte dei livesi per la Madonna la rappresentazione per ben ventitré volte della Vergine. Tra le raffigurazioni si riscontrano anche numerose immagini della Madonna del Latte, un numero tanto significativo da far pensare ai diffusi problemi legati all’epoca al parto e alla lattazione.